Ipertensione, Nefropatie e Danno Cardiovascolare
Ipertensione, nefropatie e danno cardiovascolare
Prof. Gaspare Elios Russo
Il rene è uno dei principali attori dell’omeostasi corporea, la cui alterazione, secondaria a varie patologie, può comportare la compromissione della funzione di altri organi ed apparati. In particolare il rene svolge un ruolo cruciale nel controllo della pressione arteriosa.
Secondo l’antica medicina cinese “i reni immagazzinano lo Jing (Essenza)” e sono deputati al governo dell’acqua corporea, mentre “il cuore comanda lo Shen (Spirito Vitale)” ed è dunque deputato al governo del fuoco corporeo.
L’interazione tra pressione arteriosa e rene è stata inizialmente dibattuta da Richard Bright che già nel 1827 nel suo “Reports of Medical Cases” considerava, sulla scorta di numerose rilevazioni anatomopatologiche, il “sintomo” ipertensione quale conseguenza di una nefropatia.
Egli reputava che l’ipertrofia ventricolare sinistra identificata autopticamente nei nefropatici, fosse il fattore intermediario tra nefropatia ed ipertensione. In altri termini l’ipertrofia ventricolare sinistra, secondo Bright, era causa (e non conseguenza) degli elevati valori pressori. Per spiegare tale interrelazione, egli ipotizzava che “l’alterata qualità del sangue modifica la circolazione microscopica e capillare del rene a tal punto da rendere più intensa l’azione necessaria per forzare il sangue lungo le suddivisioni più distali del sistema vascolare”.
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La teoria renale dell’ipertensione, emessa da Bright 180 anni fa è importante non solo perché è la prima, ma essenzialmente perché il rene è stato e rimane al centro del problema patogenetico dell’ipertensione arteriosa valutato variamente a seconda delle alterne fasi storiche.
Già 2000 anni prima però, in un antico trattato di medicina cinese si leggeva: “Quando il polso è teso e duro alla palpazione la malattia risiede nei reni”. Nel 1854 il patologo tedesco Traube confermava come l’esaltato lavoro cardiaco fosse un mezzo di compenso messo in atto dalla natura di fronte al restringimento e alla lesione dei vasi renali: l’aumentata pressione, ovvero l’ipertensione”, risultava così “essenziale” per la vita. Veniva così coniato il termine ipertensione essenziale di cui sentiamo spesso parlare.
Tali evidenze scientifiche stanno in parte modificando le idee sull’ipertensione arteriosa, sul modo di concepire il rapporto rene-pressione e sul conseguente approccio terapeutico, il rene diventa, dunque, un fattore di rischio indipendente ed il suo deficit è responsabile di mortalità e morbilità tali che, nei pazienti con scompenso cardiaco, risulta essere un fattore prognostico ancor più negativo degli indicatori propri di compromissione della funzione cardiaca. D’altra parte la malattia cardiovascolare è la principale causa di morbilità e mortalità nel paziente con I.R.C (46%), 5-10 volte superiore rispetto alla popolazione generale. L’esistenza di una relazione continua tra il livello di pressione arteriosa e il rischio cardiovascolare rende arbitraria ogni definizione e classificazione numerica della ipertensione, risultando una variabile continua cosicchè una pressione normale-alta include valori che debbono essere considerati come “elevati” (ipertensione) nella popolazione ad alto rischio (nefropatici, diabetici, etc.), o accettabili negli individui con profilo di rischio ridotto. Nella malattia renale cronica gli obbiettivi sono di ridurre la PA, il rischio cardiovascolare (fumo, dislipidemia, diabete, etc.) e rallentare la progressione della I.R.C.
L’uso e l’efficacia dei trattamenti antipertensivi hanno sicuramente contribuito a far diminuire la mortalità per ictus e cardiopatia ischemica, mentre l’incidenza di IRC è aumentata dell’ 8-13% annuo in quei pazienti con ipertensione arteriosa e diabete.
Di seguito cercheremo di rispondere alle domande più comuni sull’ipertensione in pazienti con nefropatia dando suggerimenti per mantenersi il più possibile sani anche quando affetti da queste malattie.
In cosa consiste la terapia per ipertensione e nefropatia?
Per ogni paziente viene definita una terapia su misura in base allo stadio di evoluzione della nefropatia.
Statine, aspirina, b-bloccanti sono terapie efficaci nel ridurre il rischio di cardiopatia, ma poco utilizzate nei pazienti con malattia renale cronica a dispetto di una riduzione di eventi cardiovascolari (<20%). La strategia terapeutica da adottare dovrà sostanzialmente basarsi sulla riduzione della pressione sistemica ma altresì sulla riduzione della proteinuria.
Come posso intervenire nelle varie fasi terapeutiche?
E’ necessario insegnare al paziente come misurare correttamente la pressione arteriosa e come riconoscere una eventuale ipovolemia misurandola in ortostatismo; autoregolare le dosi farmacologiche appena riconosce una eccessiva riduzione pressoria in alcune situazioni critiche (caldo eccessivo, ridotta assunzione di cibo); evitare farmaci nefrotossici. E’ altresì fondamentale curare l’alimentazione, dieta rappresenta infatti la prima vera ed efficace terapia di ogni quadro morboso. In corso di nefropatie la dieta è rapportata allo stadio clinico ed all’evoluzione della stessa.
Cosa occorre cambiare nella dieta?
Nello stadio 1–2 il medico consiglierà di seguire una dieta ricca di frutta, verdura e latticini come la cosiddetta dieta DASH (dieta contro l’ipertensione). I pazienti agli stadi 1–4 della malattia potrebbero dover effettuare i seguenti cambiamenti: ridurre l’assunzione di sale (cloruro di sodio) non più di 2400 milligrammi di sale al giorno, ridurre cibi ricchi di grassi saturi e colesterolo che possono ostruire le arterie e aumentare il rischio di malattie cardio-circolatorie, controllare l’assunzione di carboidrati nella dieta: non dovrebbero superare il 50–60% dell’apporto giornaliero di calorie.
Sono necessari altri cambiamenti nel proprio stile di vita?
Sì. Per favorire l’efficacia della cura è opportuno: perdere il peso in eccesso, fare attività fisica moderata 30 minuti al giorno quasi tutti i giorni. Consultare sempre il medico prima di iniziare un programma di allenamento, ridurre l’assunzione di alcolici (non più di due bicchieri al giorno per gli uomini e uno per le donne), smettere di fumare.
Dott.ssa Marina D’Arcangelo
Resp. Comunicazione A.N.Di.P.
Ass. Nazionale “Enzo Siciliano” Onlus
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